DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA: IL RAPPORTO CON IL DATORE DI LAVORO

Scritto da Ada Branciaroli.

04 01L'art. 2119 del codice civile prevede che il dipendente possa dimettersi per giusta causa con effetto immediato quando un grave inadempimento o una qualsiasi azione od omissione del datore di lavoro, che renda impossibile o non produttiva la prestazione, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. Vige in questo caso il principio dell'immediatezza della reazione, da intendersi in senso non rigido, tenuto conto dei naturali tempi di maturazione della volontà nel determinarsi a estinguere il rapporto. La legge prevede espressamente che il lavoratore dimissionario per giusta causa ha comunque diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, dovendosi imputare la cessazione del rapporto a un'inadempienza del datore di lavoro.
Inoltre il lavoratore, ha diritto a ricevere il sussidio di disoccupazione (Naspi), secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n.269/2002, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 5, L 448/1998, e affermato il principio per cui le dimissioni per giusta causa non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore – in quanto indotte da comportamenti altrui idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro – e comportano, quindi, uno stato di disoccupazione involontaria, per cui devono ritenersi non comprese nell'ambito operativo del citato articolo 34, comma 5.
Sul fronte datoriale, la qualificazione delle dimissioni per giusta causa può comportare il pagamento del contributo del c.d. ticket di licenziamento introdotto dalla Legge Fornero (L. 92/2012), come se si trattasse di un licenziamento (in alcuni ordinamenti stranieri, come quello francese e spagnolo, si parla di "licenziamento indiretto").

IPOTESI DI GIUSTA CAUSA NELLA GIURISPRUDENZA
La questione diventa delicata quando si tratta di dover individuare cosa determini una giusta causa di dimissione e cosa no. In particolare, il datore di lavoro che riceve le dimissioni per giusta causa, si troverà di fronte al problema di come qualificare le stesse al momento della comunicazione obbligatoria agli Enti deputati alla cessazione del rapporto, nel caso ritenga che la giusta causa non sussista, al fine di evitare il pagamento del contributo di cui si è detto. Dall'altro lato il lavoratore insisterà a farsi riconoscere il sussidio di disoccupazione,ritenendo le dimissioni imputabili al datore di lavoro.
La recente sentenza di Cassazione n.17303/2016 ci aiuta a riflettere. Il caso esaminato dai giudici di legittimità riguarda un lavoratore che aveva lamentato l'impossibilità di progressione in carriera e crescita professionale nei confronti dell'azienda presso cui lavorava. Il conflitto conduceva a delle negoziazioni tra le parti che si concludevano con la consensuale risoluzione del rapporto di lavoro. Per i giudici, più precisamente, il semplice condizionamento derivante dalla sussistenza di trattative orientate a prevenire o a porre fine a una lite non inficia in assoluto la libera determinazione del volere del prestatore di lavoro. Ad avere rilievo, piuttosto, è la possibilità concreta che il lavoro possa proseguire. L'Inps rigettava la concessione dell'indennità di disoccupazione al lavoratore, il quale presentava ricorso avverso la decisione dell'Ente, vedendosi però respingere la domanda in tutti i gradi di giudizio.
Per la Cassazione la giusta causa va piuttosto ricollegata a un gravissimo inadempimento o a un'altra causa oggettivamente idonea a ledere il vincolo fiduciario.
La giurisprudenza, tanto di merito che di legittimità, ha esaminato varie fattispecie, ritenendo che la giusta causa di licenziamento sussista nelle seguenti serie di ipotesi:
- mancato pagamento della retribuzione,
- molestie sessuali nei luoghi di lavoro,
- demansionamento,
- mobbing, intendendo per tale il crollo dell'equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi,
- notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione di azienda,
- trasferimento del lavoratore da una sede ad un'altra, senza che sussistano le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dall'art. 2103 c.c.,
- comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico.
Nella maggior parte dei casi, sorgerà un contrasto tra dipendente e datore di lavoro in relazione all'effettiva sussistenza di comportamenti di quest'ultimo che giustifichino le dimissioni per giusta causa, Laddove il datore di lavoro non corrisponda l'indennità sostitutiva di preavviso, il lavoratore promuoverà ricorso in giudizio per ottenerla, e sarà il giudice a decidere se ricorrano o meno i presupposti di legge.
Nel frattempo, il lavoratore che ne abbia interesse, si rivolgerà all'Inps per ottenere l'indennità di disoccupazione (Naspi), assumendo l'involontarietà della cessazione del rapporto. Secondo quanto previsto dallo stesso Ente, nel presentare la domanda, il lavoratore deve allegare la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da cui risulti la volontà di "difendersi in giudizio" nei confronti di un comportamento illecito del datore di lavoro, nonché altri documenti quali diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d'urgenza ex articolo 700 c.p.c, sentenze o ogni altro documento idoneo, e deve impegnarsi a comunicare l'esito della controversia giudiziale o extragiudiziale. Se l'esito della controversia non riconosce la giusta causa di dimissione, l'Inps recupererà l'indennità eventualmente corrisposta, così come già avviene nel caso in cui il lavoratore, a seguito di licenziamento giudicato illegittimo, viene reintegrato nel posto di lavoro.

ULTERIORI CHIARIMENTI
E' opportuno ricordare che le dimissioni per giusta causa, proprio perché fanno riferimento a fatti che non consento la prosecuzione del rapporto, devono essere rassegnate nell'immediatezza dei fatti stessi.
La lettera di dimissione del lavoratore deve indicare la motivazione che, a suo modo di vedere, costituisce una "giusta causa"?
Secondo la Giurisprudenza maggioritaria in questo caso non si richiede l'immediatezza nello specificare le contestazioni contro il datore di lavoro – che sono invece necessarie nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro per licenziamento in tronco del lavoratore – per cui l'omessa indicazione della giusta causa delle dimissioni del lavoratore nella dichiarazione di recesso, non la rende inidonea ai fini dell'applicabilità dell'art.2119 c.c., ma comporta per il Giudice il dovere di accertare l'esistenza di una giusta causa.

CONCLUSIONI
Qualora il datore di lavoro ritenga che non sussistano ragioni per una giusta causa di dimissioni a lui imputabili, può comunicare agli Enti competenti che a suo avviso esse debbano essere intese quali comuni dimissioni volontarie, affinché non eroghino prestazioni a sostegno del reddito.
Nel caso in cui il lavoratore ricorra in giudizio per accertare la giusta causa, il datore di lavoro potrà difendersi in tale sede con tutti i mezzi previsti dall'ordinamento e secondo la ripartizione dell'onere della prova previsto per le diverse fattispecie che si sono indicate.
Solo qualora il giudice dichiari la sussistenza della giusta causa di dimissioni, il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere l'indennità sostitutiva del preavviso al lavoratore e il contributo per la disoccupazione all'Inps, come previsto dalle norme indicate.

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